Celestini: «Il vero prodigio è la forza degli ultimi
Il Resto del Carlino, Cesena – 16 marzo 2018
I suoi personaggi sono vite al margine, che si muovono fra due parcheggi e un palazzo, nella più degradata periferia. Uno spazio liminare, il solo dove, paradossalmente, possiamo ritrovare la vera umanità. Si chiama ‘Pueblo’ il nuovo lavoro portato in scena da Ascanio Celestini, secondo capitolo di una trilogia dedicata agli esclusi dei bassifondi. A due anni da ‘Laika’, il primo dei tre spettacoli del progetto, l’attore romano tona al Teatro Petrella di Longiano, sabato sera alle 21, a dare forma ai suoi personaggi in cerca di una qualche redenzione.
Una ex prostituta, una cassiera, un facchino, una barbona, un extracomunitario: possiamo dire che la loro debolezza è anche la loro forza?
“Citazione pasoliniana! Sì, credo sia così. La loro vera forza sta nella loro umanità, che emerge in maniera così evidente solo in queste situazioni al margine”.
Cosa cercano i suoi personaggi?
“È come se attendessero dal mondo qualcosa di prodigioso. Finché non si rendono conto che non possono essere complici della violenza che loro stessi subiscono. Ecco allora che in questi luoghi ‘di periferia’, in questo ghetto, che a volte diventa uno status quo che non puoi più scrollarti di dosso, c’è un ritorno all’umanità. È qualcosa di indispensabile: questo è il vero prodigio”.
Come si chiuderà la trilogia?
“L’idea a cui stiamo lavorando io e Gianluca Casadei (il fisarmonicista che lo accompagna sul palco, ndr) è un terzo capitolo di una stessa storia, ambientata sempre tra un condominio e due parcheggi, dove si muovo dei personaggi. Un po’ come una tavola del Monopoli, con la differenza che questo non è un gioco”.
Sale volentieri su un palco romagnolo?
“Sempre! Quello che apprezzo della vostra gente è l’accoglienza, e anche la testardaggine, anche quando è fuori dal presente”.
Cosa intende?
“Voi romagnoli avete costruito distese di palazzi e cemento, nella vostra riviera. Ma se la cosa non vi convincesse più, potreste buttare giù tutto e far crescere un bosco, ‘che si vede fin dalla Croazia’. Sono le parole di un fotografo che amo, Sandro Becchetti, che rispecchiano questa caparbietà che ammiro: in Italia a volte non volte c’è nemmeno l’ombra di questa idea, di poter ricostruire il mondo, alla pari di noi stessi”.