Mi ritorni in Dente
Gagarin Magazine, n.5 2016-2017
Si intitola ‘Canzoni per metà’, il suo ultimo disco, ed è un’antologia di venti pezzi dedicati ognuno a una dolce metà. Perché lui, in fondo, è un romantico chansonnier. «È l’amore, a muovere le corde della mia scrittura», confessa. E quindi è sempre a un amore (passato, presente, o futuro), che lui dedica i suoi versi. «Se la mettiamo così, effettivamente tutta la mia discografia dovrebbe intitolarsi ‘Per metà’». È anche uno che ama giocare con le parole, Giuseppe Peveri, in arte Dente. Il quarantenne cantautore di Fidenza è impegnato in un tour fitto di date, che il 19 novembre fa tappa al Locomotiv Club di Bologna e che, dopo avere toccato tutta la Penisola, si chiude il 17 dicembre al Bronson di Ravenna. Uscito a ottobre per la sua etichetta indipendente, Pastiglie, “Canzoni per metà” è un disco forse difficile da apprezzare al primo ascolto, che ha bisogno di tempo per crescere e fermentare. I pezzi sono praticamente privi di ritornello; alcuni sono cortissimi, durano meno di un minuto. Doveva nascere come progetto casalingo, ma alla fine lo ha registrato a Livorno, negli studi di Andrea Appino degli Zen Circus. Un esperimento coraggioso e dai risultati decisamente interessanti, se si ha la pazienza di andare oltre al primo ascolto, prima di dare un giudizio. Forse un modo per uscire fuori dagli schemi e scongiurare la grande paura del musicista, oggi?
“I cantautori non vendono più”: lo dice anche lei, nel brano di apertura del disco.
«Speriamo che non sia vero, però!»
Come sta andando la sua tournée?
«Questo live per me rappresenta un’esperienza nuova, a cominciare dal fatto che ho cambiato tutti i musicisti della band. Le cose si stanno evolvendo in modo molto interessante e il pubblico sta rispondendo bene, sono molto contento».
Una data al Locomotiv è diventata un must, quando è in tour.
«Sono di casa, ormai. È un locale che mi piace molto, ha la dimensione perfetta, sia per stare sul palco, che sotto. Qua infatti ho visto anche molti concerti da spettatore, uno degli ultimi è stato quello di Father John Misty, a novembre dello scorso anno».
Si dice che ci abbia anche dormito, al Locomotiv, agli esordi della sua carriera.
«Già, allora gli hotel non mi davano ospitalità, toccava ripiegare sui camerini del locale! (ride). Non mi andava male, in ogni caso. È un luogo dove si respira tanta passione, quando stai suonando ma anche quando sei in mezzo al pubblico. E poi, da emiliano, sono sempre molto legato a Bologna, sin dai tempi dell’università».
Che facoltà ha frequentato?
«Il Dams, ma senza potare a termine gli studi».
Poco male, visto che è diventato artista lo stesso.
«Sono stato fortunato, ho potuto saltare il passaggio della laurea!».
Un ricordo particolare, legato a Bologna?
«In realtà non ho questi ricordi gloriosi, del mio passato da universitario. Venendo da Fidenza, facevo il pendolare, quindi non ho avuto modo di stringere amicizie e di vivere la città da studente, come si conviene a un giovane fuori sede. E poi ero più chiuso di oggi, più riservato. Ricordo questi pomeriggi, fra una lezione e l’altra, seduto su un gradino, da solo. A scrivere versi…».
Destrutturare la forma canzone: con questo ultimo album ha voluto fare un esperimento?
«È un disco che si discosta molto dai miei ultimi lavori. Con la consapevolezza che un esperimento può anche fallire, ho voluto, non senza timori, dare forma a un progetto che avevo in mente già da diverso tempo. Ho sempre scritto brani molto brevi, penso ad esempio a ‘Cuore di pietra’, ma anche ad altri pezzi che ho inserito qua e là nei miei vari album. Questo disco è fatto di canzoni a metà, più bizzarre delle altre. Fa un effetto straniante ascoltarle tutte insieme, perché 20 sono molte. Forse non è un lavoro di ascolto immediato, ma sono felice che alla fine sia stato accolto bene».
Un anno fa ha scritto un libro, “Favole per bambini molto stanchi”, fatto di racconti brevi. Questo le ha dato la spinta per l’album?
«Forse mi ha inconsciamente aiutato a liberarmi da alcuni paletti, mi sono sentito legittimato a scrivere più “canzoncine”. All’inizio il libro non voleva pubblicarlo nessuno. Tutti mi dicevano “È impubblicabile, scrivi un romanzo”. Che suona un po’ come “Non fare un disco di venti canzoncine, fanne uno di dieci con i ritornelli”. Alla fine il libro l’ho fatto come pareva a me, un editore lungimirante come Bompiani l’ha pubblicato e le vendite sono andate oltre ogni aspettativa. Questo mi ha confermato che, se faccio di testa mia, forse vinco».
Parliamo della sua collaborazione con Appino, come è nata?
«Ero a Milano, a vedere un suo concerto al Carroponte. A fine show ci siamo salutati e gli ho accennato di questo progetto che stavo registrando in casa, perché inizialmente il disco era stato concepito per avere una dimensione domestica. Allora Andrea mi ha proposto di farlo a Livorno, nel suo studio di registrazione. Mi sono detto, perché no?».
Come è stato lavorare insieme?
«È stata un’esperienza divertente e interessante. Ma anche rischiosa».
In che senso?
«Spesso due amici sono tali proprio perché non lavorano insieme. Voglio dire, quando ci si conosce bene, è anche molto più facile mandarsi a quel paese».
Quanto a voi?
«Potete stare tranquilli, non abbiamo litigato!»
Che rapporto ha con i social network?
«Mi piace utilizzarli ed esplorare le possibilità che essi offrono dal punto di vista della comunicazione. Sono uno sperimentatore, mi piace provare cose nuove, anche nella musica».
Per questo ha scelto di lanciare il suo ultimo singolo, “Curriculum”, con una diretta su Facebook?
«Volevo una promozione un po’ particolare, che nessuno avesse mai fatto prima. Così, insieme al regista Francesco Imperato, è nata questa idea di presentare la canzone in diretta su Facebook. È successo il 13 settembre scorso a mezzogiorno, un’esibizione in diretta a ogni scoccare dell’ora, fino a mezzanotte. Una maratona di dodici ore, in giro per Milano. Dal montaggio dei vari video, poi, è nata la clip ufficiale del singolo».
E con la musica altrui che rapporto ha?
«Di musica ne ascolto tanta, soprattutto quella vecchia. Perché sono vecchio, in effetti».
40 anni, vecchio?!
«Diversamente giovane, diciamo».
Quindi cosa ascolta?
«Negli ultimi anni sto facendo sforzi per aggiornarmi. Mi sono reso conto che mi stavo crogiolando troppo nei miei Bob Dylan e nei miei Neil Young, così ho iniziato a studiare. Ad ascoltare cose nuove. Ad esempio mi piace moltissimo questo artista indie rock canadese che si chiama Jimmy Shaw. Oppure Father John Misty, l’ex batterista dei Fleet Foxes, che ho visto live al Locomotiv, appunto».
Last but not least, la domanda da un milione di dollari: se non avesse fatto il musicista, oggi sarebbe?
«Oggi sarei molto triste».
Ci sembra giusto.
I biglietti per il suo concerto al Locomotiv sono disponibili in prevendita su Ticketone, quelli per il Bronson su Vivaticket.